Domenica 2 novembre: commemorazione di tutti i fedeli defunti. Dalla morte verso la vita

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La liturgia non ha pianti, perché ciò di cui essa fa memoria non è la morte, ma la speranza della risurrezione.

La liturgia non ha lacrime, se non asciugate dalla mano di Dio, perché essa non è memoria della lacerazione, ma profezia di futuro, di nuova comunione.

Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto“. (Gv 11,21)

La fede generosa di Marta, sopraffatta dell’emozione, si sbaglia.

È quello che pensiamo anche noi: in questo mio dolore, dov’è Dio? Se Dio esiste, perché tanti morti innocenti?

Se Tu sei qui, i miei cari non moriranno…

E invece Dio è qui, sempre, ma non come esenzione dalla morte.

Gesù mai ha promesso che i suoi non sarebbero morti. Per lui il bene più grande non è una vita lunghissima, un infinito sopravvivere.

Per Gesù l’essenziale non è il non morire, ma il vivere.

È il vivere una vita risorta.

L’eternità è già entrata in noi; entra in noi molto prima che accada, entra con la vita di fede, con i gesti del quotidiano amore.

Il Signore ci insegna ad avere più paura di una vita sbagliata che non della morte. A temere più una vita vuota e inutile che non l’ultima frontiera che oltrepasseremo aggrappandoci forte al suo Cuore che non ci lascerà cadere. La vita eterna è la cosa più seria e più forte che Gesù ha preparato per noi.

Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Né angeli né demoni, né vita né morte, nulla ci potrà mai separare dall’amore di Dio” (Rm 8,35-37). Questa certezza mi basta.

Se Dio è amore, mi vendicherà della mia morte. La sua vendetta è la risurrezione, un amore mai più separato.

Dio salva, è il suo nome.

Salvare significa conservare. E nulla andrà perduto, non un affetto, non un bicchiere d’acqua fresca, neanche il più piccolo filo d’erba.

Una preghiera per i defunti, forse la più bella, invoca: “ammettili a godere la luce del tuo volto”.

I verbi della fede (adorare, lodare…) cedono ad un verbo umile e forte, inerme ed umanissimo: godere.

La ragione cede alla gioia.

La stessa fede cede al godimento.

L’eternità fiorisce nei verbi della gioia, non nell’ansia del ragionamento. Perché Dio, nella sua più intima essenza, non risponde al nostro bisogno di spiegazioni, ma al nostro bisogno di felicità. Per lo spirito, ma anche per gli affetti, per il cuore, per gli occhi, per tutto il mio essere.

L’esperienza dell’uomo dice che tutto va dalla vita verso la morte.

La fede cristiana dichiara invece che dalla morte alla vita si svolge l’esistenza dell’uomo.

Dal santuario di Dio, che è la terra e dove nessun uomo può restare a vivere, le porte della morte conducono verso l’esterno. Ma su che cosa si aprono i battenti di questa porta? Non lo sai?

Sulla vita!

(Padre Ermes Ronchi)