Don Giovanni Barbareschi: sacerdote partigiano, ribelle per amore

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Da Madesimo, giovane diacono, poi membro dell’Opera soccorso cattolico, si adoperò per mettere in salvo in Svizzera oltre 2 mila prigionieri alleati, antifascisti ed ebrei. Catturato dalle SS fu incarcerato a S.Vittore e sottoposto a un durissimo interrogatorio dal quale uscì con un braccio spezzato: ma senza proferir parola che tradisse gli amici.

“La cosa più bella della Resistenza fu la nostra solidarietà: gli uni con gli altri. Non importava se eri comunista, prete, socialista o liberale: eravamo persone che resistevano e questo ci rendeva uniti. E’ esattamente ciò che manca all’uomo di oggi: mancano idee forti che ci uniscano, idee fondamentali, essenziali. Che senso ha oggi la parola onore, che senso ha la lealtà, la fedeltà, l’espressione “io sto con te”. Tutto è comprabile, tutto è vendibile, tutto è cedibile. E si trovano sempre le motivazioni per giustificare quelli che una volta chiamavamo ‘tradimenti’”.

“Il primo atto di fede che l’uomo deve compiere – dice don Giovanni Barbareschi – non è in Dio: il primo atto di fede che l’uomo deve compiere è nella sua libertà, nella sua capacità di essere e di diventare sempre di più una persona libera. Perché la fede e la libertà dell’uomo non si dimostrano: si credono, come un mistero. Ma è capace ancora l’uomo di oggi di giocare la vita su un mistero? Penso di no, penso che l’uomo di oggi non cerchi più la verità ma l’evidenza, che non sarà mai la verità ma una ‘piccola’ verità.

E quando parlo di verità come mistero intendo quella di un’amicizia, di un amore, di una fedeltà, di una meta raggiunta. (…) Certamente l’immagine che traggo dalla Resistenza è assolutamente positiva per la generosità, il rischio di allora: oggi non si rischia più niente, tutto è pesato, quantificato., previsto, programmato.

Manca il senso di gratuità e generosità di un gesto, di un’idea, di un’azione.

Quando un uomo non rischia non è uomo: due sono le condizioni che qualificano un uomo, la capacità di ‘rischio’ e la capacità di ‘sogno’.

Oggi non si rischia più e non si sogna più. Ti fanno vedere il risultato che ottieni e ti muovi davanti alla certezza di quel risultato. Ma un uomo che non sogna non è un uomo: sognare e rischiare sono ciò che lo rendono tale.

Vorrei parlare ai giovani: “vi parla un prete”. Non meravigliatevi se vi dico che non mi interessa molto diventare un santo, mi interessa diventare un uomo libero.

Se le due parole coincidono allora mi va bene ma la parola “santo” la trovo troppo ecclesiasticamente qualificata. Preferisco la parola umana: voglio diventare un uomo libero.

Libero davanti alla tradizione, davanti all’educazione che ho avuto, davanti all’abitudine di un agire comune, davanti a una mentalità.

Vorrei allora dire ai giovani: cercate sempre di essere persone libere, interrogatevi sugli atti d’amore con gli altri. Se non c’è amore ogni atto è condizionato: dall’interesse, dal guadagno, dall’utilità, dall’abitudine.

Ecco perché l’esame di coscienza alla sera non va fatto sui peccati.

Quell’esame di coscienza deve interrogarti sugli atti di libertà e di amore che hai realizzato”.

(Da una sua intervista dello scorso anno)