Mi chiamo Pietro – Da un accampamento all’altro

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Il nostro padre nella fede Abramo era un uomo che ha camminato tanto, ha posto in diversi luoghi la sua tenda, si è sempre fidato di Dio, un Dio che non ha mai fatto mancare a lui né alla sua generazione “numerosa come le stelle del cielo” la Sua Alleanza d’Amore.

Io non mi paragono ad Abramo, ma in fondo penso che la vita sia un pellegrinaggio e non un girare senza meta; la vita è piantare la propria tenda qua e là, incrociando volti, storie, relazioni, facendosi compagni di viaggio gli uni degli altri, per portare un po’ reciprocamente i pesi e le gioie che la vita offre, confidando nell’Amore infinito di Dio, che non fa mai mancare la sua presenza, che attraversa le nostre storie e le rende benedette.

È così che allora mi presento volentieri alla Comunità “Maria Madre della Chiesa” di Cassina de’ Pecchi: sono un giovane 26enne di terza teologia, nativo di Busto Arsizio, che desidera sostare un poco con voi, arrivando tra voi con discrezione e delicatezza, in punta di piedi, per condividere gioie e fatiche, per imparare dai nostri preti e dalla tanta gente di buona volontà che abita la nostra città, per guardare con speranza e gioia al cammino di una comunità che continuamente cresce. Forse sembrano queste parole un po’ rosee, banali oserei dire; in realtà sono molto concrete per me, perché celano quello che è il compito di ogni cristiano: guardare alla vita come un “dono”; riconoscere che l’altro con cui si entra in relazione è il dono più grande e gratuito che Dio fa.

Don Michele Di Tolve ci invita sempre a riconoscere questa dinamica importante della vita. E un Vescovo, Don Tonino Bello, diceva ai giovani: “Coltivate le amicizie, incontrate la gente. Voi crescete quanto più numerosi sono gli incontri con la gente, quante più sono le persone a cui stringete la mano.” La mia vocazione è nata in famiglia, con la testimonianza dei miei genitori, di un padre che mi ha insegnato a vivere e a morire, di mia mamma e di mio fratello prete (povera mamma!). Essenziale è stata un’esperienza di pellegrinaggio a Lourdes qualche anno fa, in un momento difficile per me, dove davanti a un contesto di sofferenza e di umanità forte (a Lourdes i protagonisti sono proprio i malati che ti sconvolgono con una fede vera e profonda) ho detto: “E io, come voglio spendere la mia vita?”.

In questi anni di seminario sono stato a Gavirate e a Induno Olona. Prima di entrare in Seminario oltre a portare a termine gli studi, ho lavorato per cinque anni svolgendo varie attività, tra le quali l’educatore in diversi oratori. Fondamentale per me è la dimensione lavorativa: mi aiuta a guardare alla realtà senza mai dare nulla per scontato, vedendo la fatica come occasione di crescita.

Il mio padre spirituale (un vero padre per me) mi dice sempre: “Non c’è crescita, non c’è evoluzione che non passi prima dalla fatica”. E penso che la fatica possa riguardare anche l’amore. Rilke – poeta austriaco – in una sua lettera diceva che è davvero faticoso amare. Ma è anche difficile riconoscersi amati.

La mia vocazione nasce in questo: nel riconoscere anzitutto di essere persona, giovane amato e che desidera corrispondere a questo amore che Gesù Cristo riserva nella mia vita, attraverso i numerosi volti, le numerose storie che incrocio sul mio cammino. Fondamentalmente “persona” vuol dire “essere in relazione con”. E per me le relazioni sono costitutive, essenziali, sono vera scuola dalla quale apprendo attraverso l’ascolto, attraverso il riconoscere che davvero ognuno di noi è unico, che davvero ognuno di noi ha i suoi sogni che non sono da calpestare, ma da aiutare a crescere.

Amare, riconoscere l’unicità, coltivare sogni e desideri: penso siano caratteristiche essenziali di ogni giovane oggi, dei miei coetanei.

Sono contento ora di essere stato destinato a Cassina De’ Pecchi; già conoscevo la vostra realtà perché con alcuni compagni sono stato tra voi lo scorso gennaio; e tra le tante indicazioni preziose ricevute in quella giornata (in cui ho visto una realtà viva, fresca, collaborativa, gioiosa, che non si lascia schiacciare dalle fatiche) conservo ancora quelle del gruppo giovani: “Cosa ci aspettiamo da voi seminaristi? La cura, atteggiamento necessario per incontrare l’altro; il riferimento a Gesù Cristo, da mettere davanti alla vostra vita; il non dimenticare che avete una storia, custodendo i vostri affetti di casa o delle realtà in cui siete inviati”. Parole importanti per me, che mi fanno davvero dire di essere felice di poter camminare con voi; vi ricordo già da tempo nella preghiera.

A tutti, grandi e piccoli, chiedo di pregare per me e i miei compagni e per tutti i seminaristi, in particolare Francesco, per cui sono contento di vedere i tanti gesti di bene nei suoi confronti per essere stato con voi. E una preghiera per i nostri preti, testimoni del Risorto nella meravigliosa storia di questo popolo.

 

Pietro Solinas