Una giornata con don Mimmo

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Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi, dice la volpe al Piccolo Principe, in un passaggio del famoso libro dove si parla dell’amore che rende unici e che si alimenta di presenza e di continuità.

A questa frase pensavo ascoltando i racconti di don Mimmo, su Napoli, la Colombia, il Brasile, sulle miserie umane, i poveri, i dolenti, su chi ha smarrito la strada e osservavo il modo aggraziato, delicato, tenero con cui parlava di loro come Buona Notizia, dei lori occhi ricolmi di Dio.

Don Mimmo ha la capacità, il prezioso dono, di vedere l’essenziale e riversarlo nel cuore di chi ascolta la sua testimonianza partecipe e credibile. 

Non fosse che è l’Arcivescovo di Napoli, con la sua croce di legno e i suoi modi semplici, lo immagineresti prete di periferia intento a visitare di casa, in casa le famiglie bisognose, a parlare, tra fumo e schiamazzi, con gli adolescenti del quartiere, seduto sul letto di un malato a tenergli la mano o in giro di notte fra i senza tetto solo per ricordare loro che ‘qualcuno gli è accanto’. Forse perché resta un prete di strada; forse perché proprio perché è il Vescovo, è quello che fa ancora oggi.

Martedì 3 maggio, Mons. Domenico Battaglia era a Cassina de’ Pecchi, invitato dalla comunità del decanato di Cernusco per un incontro di ascolto, testimonianza, esortazione: per parlare di profezia, di speranza e dell’abbraccio dell’Amore.

Durante la mattinata ha incontrato presso l’oratorio SACER di Cernusco s/N i circa trenta sacerdoti della Fraternità del Clero – dopo un buon tempo pomeridiano dedicato a una famiglia di amici che sta vivendo un momento di grande sofferenza – alle 18.30 ha celebrato la Messa.

Alle 21, sempre presso la parrocchia di Cassina, l’incontro con la comunità del decanato, in cui ha regalato a tutti i presenti una catechesi, di quelle belle, che arrivano dritte, dritte al cuore, che aiutano a vedere la grazia di Dio, che ti stupiscono e rallegrano insieme, che ti lasciano sperare che allora ha un senso, allora si può fare; che allora il Vangelo parla alla mia vita ed è già nella mia vita.

In una chiacchierata durata un po’ più di un’ora, sulla scorta di alcune domande preparate dal Gruppo Barnaba, don Mimmo ha parlato di sinodalità e libertà del Vangelo, di giovani e di vocazione, di fede e migranti, di dipendenze, di legalità e giustizia, inframmezzando le sue riflessioni con storie di vita vera, in cui identificarsi, su cui specchiarsi. 

Parole dense e lievi insieme, per pregarci (letteralmente) di non dimenticare mai i poveri, di ogni tipo, portatori di una ricchezza che si chiama relazione, custodi di un luogo sacro che si chiama dignità.

Per dirci che ‘camminare insieme’ è anzitutto ascolto, reciproco e che ascoltare autenticamente è già Vangelo, perché significa essere disposti a mettere in gioco le certezze che ci siamo costruiti noi, per cercare “il sogno di Dio”; che il Vangelo non è una regola, ma è vita e dobbiamo avere il coraggio (la fede) di “liberare Gesù, di liberare il Vangelo”: come gli ha detto quel ragazzo incontrato in un carcere della Colombia, che proprio in quel luogo, grazie a quel libro ha trovato la libertà.

Parole schiette riguardo ai giovani: non per colpevolizzarli (non ci sono mai, non si impegnano in parrocchia), ma per chiedere a noi, se siamo capaci di intercettare quei luoghi, fuori dalla Chiesa, in cui Dio parla ai giovani e lì incontrarli; che per aiutare i giovani a cercare la propria vocazione al ‘per sempre’ è necessario far “scoprire la bellezza delle vette” e ricordare che il “per sempre non è che un ogni giorno”. Ai suoi giovani preti dice che sentirà di essere stato un buon pastore, quando la gente andrà da lui lamentandosi perché “quel prete non è mai in Chiesa”, perché saprà che è uscito a cercare Gesù per le strade.

Parole sentite e partecipi su legalità e giustizia e il ruolo della Chiesa, che don Mimmo non può immaginare passivo: “la Chiesa deve farsi carico e denunciare e mostrarsi coerente, pena non essere più creduta da nessuno”, ha detto; “legalità e giustizia devono tornare a essere temi all’ordine del giorno nelle catechesi e nelle omelie”, ma anche è fondamentale esserci, schierati con le vittime, rimettendo in piedi (come in un miracolo) chi è caduto. Non da soli naturalmente, che da soli non si va da nessuna parte, ma lavorando perché tutti si sentano parte di, perché si passi dall’io – tipico della nostra società individualista – al noi di una comunità.

Un “noi” che progressivamente si è sfilacciato in tanti “io”, anche nelle dipendenze – per cui don Mimmo ha speso parole lucide e sapienti, di chi per lungo tempo ha teso la mano a chi si trova nelle sabbie mobili della tossicodipendenza – perché si è abbassato il livello di opposizione sociale, ma non la propensione di ciascuno di noi a ‘dipendere’ da qualcosa, per lenire il senso di vuoto.

E allora compito della Chiesa è accompagnare in percorsi di liberazione, è lavorare per ricomporre quel ‘noi’, è domandare insistentemente “dov’è tuo fratello?” come Dio fece con Caino, è istruire alla fratellanza attraverso il segno comprensibile di un abbraccio, di uno sguardo che non giudica, di chi ricorda il tuo nome, di chi resta accanto al dolore.

Don Mimmo ha poi chiuso il suo generoso intervento con un augurio a tutti i presenti, che in due pennellate esprime una visione di Chiesa dal profumo di Vangelo: “vi auguro che quando vi incontrate possiate sentire la nostalgia degli assenti”. Un testimone, di una Chiesa che ha il colore della speranza.

Simona Beretta
Moderatrice del Gruppo Barnaba
Decanato di Cernusco