Il Melograno

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Don Paolo e mamma Carla mi hanno regalato un bel quadretto, dipinto da papà Augusto, raffigurante, su un piatto, frutta di stagione: la mela, la pera, l’arancia, il melograno.

Ora il quadretto-ricordo si trova appeso ad una parete della mia cucina; lo guardo attentamente e i miei occhi si fermano più a lungo su quel frutto: il melograno o la melagrana.

Il melograno l’ho conosciuto fin da ragazzo e lo chiamavamo, in dialetto milanese “el pom granà“. Mi ricordo anche la fatica che facevo per sgranocchiarlo per poi assaporarne il gusto inconfondibile.

Sono passati tanti anni e del melograno rimase solo la memoria.

Questa memoria però diventa curiosità, quando mi si chiede di andare a celebrare la S. Messa per gli ammalati, ricoverati al “Melograno”.

Mi ha colpito poi il fatto che lo stemma dei “Fatebenefratelli” sia un melograno socchiuso con sopra una croce.

La curiosità allora si fa desiderio di sapere la storia di questa pianta coltivata sia per la bontà dei frutti che per la bellezza dei fiori, ve la racconto.

Nella vita di S. Giovanni di Dio (o della Croce), fondatore dei “Fatebenefratelli”, si racconta questo episodio.

“Un giorno, mentre se n’andava col suo carico di mercanzia, incontrò sul proprio cammino un grazioso fanciullo, vestito poveramente, scalzo e senza berretto.

Giovanni appena lo vide. s’intenerì e gli rivolse affettuosamente la parola e poiché il piccino lo chiamava per nome, esclamò: «Com’è dunque, bambino mio, che mi conosci? Mi hai già visto qualche volta».

Gli rispose: «Sì, ti ho visto molte volte».

E Giovanni tornò a chiedere: «Sei davvero gentile, bambino, a dirmi che mi conosci. Dunque, dimmi: di dove sei? Vivi qui attorno oppure ti sei perso la mamma?».

Il fanciullo gli rispose: «Non mi sono perso e so bene dove vado». E Giovanni: «E perché allora vai scalzo, camminando a piedi nudi?».

Gli replicò: «Perché non me le dai tu le scarpe?». Commentò Giovanni: «Che graziosi fanciulli ci sono a questo mondo! la tua bocca splende più del sole».

E in ciò, si tolse i sandali di corda e ne calzò il fanciullo, dicendogli: «Suvvia, bambino mio, ora che sei calzato, proseguiamo assieme.».

Ribattè il piccino: «Possiamo andare. però questi sandali son troppo grandi per me, non ci riesco a camminare. Rimettiteli e portami a cavalcioni, così ti alleni a portare i poveri in spalla, chè io ti lascerò presto».

[Il racconto continua alla prossima puntata… ]

(A cura di Monsignor Bruno Magnani)