11 febbraio 2009 – Giornata Mondiale del Malato "EDUCARE ALLA SALUTE, EDUCARE ALLA VITA"

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Per la persona vivere sanamente e naturalmente significa vivere nel rispetto della verità di sé stessa come unità psico-fisica in relazione con gli altri.

La salute va compresa alla luce del senso della vita, che è im­prescindibilmente unito al significato della morte e del dolore. La rottura di questo le­game e la rimozione culturale della sofferenza apre agli esiti sinistri che Nietzsche, quasi profetizzando il nostro tempo, ha ben sintetizzato: “I deboli e i malriusciti devono perire: questo è il principio del nostro amore per gli uomini. E a tale scopo si deve anche essere loro di aiuto“.

Il “nostro amore” per gli uomini non può essere legato al rifiuto della debolezza o dell’incapacità di svolgere normalmente alcune funzioni, ma al riconoscimento della nostra comune condizione e natura. Per questo è urgente e necessaria un’adeguata ri­flessione antropologica in base alla quale l’uomo possa essere definito attraverso i suoi bisogni, sia fisici che spirituali, prima ancora che per le sue capacità.

Educare alla salute e alla vita significa ricordare che la salute non è un bene assoluto.

Non lo è soprattutto quando viene intesa come semplice benessere fisico, mi­tizzato fino a coartare o trascurare beni superiori, accampando ragioni di salute persino nel rifiuto della vita nascente: è quanto avviene con la cosiddetta “salute riproduttiva”. Rettamente intesa la salute è uno dei beni più importanti verso i quali abbiamo grande responsabilità, tanto che può essere sacrificata soltanto per il raggiungimento di beni superiori, come talvolta è richiesto nel servizio verso Dio, verso la famiglia, verso il prossimo e la società intera.

Educare alla salute e alla vita significa educare al rispetto della dignità della persona umana.

La persona non è caratterizzata solo dalle sue capacità e dalle sue abilità, ma anche dalle sue fragilità, dalla sua vulnerabilità, dalla sua apertura alla reciprocità e al dono. È importante mettere in evidenza l’identità dell’uomo, sottolineando che il finalismo biologico e spirituale, iscritto nella natura umana, non si oppone alla sua libertà e ne orienta le scelte. Il naturale desiderio di pienezza bio-psico-spirituale, definita come felicità, si struttura attraverso il bisogno di vari beni che trovano origine e fine nell’amore, nella ricerca dell’Assoluto.

Molte dipendenze, da alcool, droghe o da particolari abitudini avvilenti, derivano da un mal orientato bisogno di assoluto, che viene saturato attraverso beni finiti, incapaci di valorizzare la dignità umana. È il dramma del “mal di vivere” molto diffuso nella nostra società e che purtroppo affligge anche tanti giovani. Per questo è importante, nell’educazione della persona in ogni età, far crescere la consapevolezza della nostra capacità di relazione e della nostra apertura all’eterno, che costituiscono l’unità di senso attraverso cui guardare tutti i nostri beni, in primo luogo la vita e la salute.

La società tutta perciò, è chiamata a tutelare, promuovere e difendere la vita di ogni suo membro nell’intero arco di esistenza, dal concepimento alla morte naturale.

Tale azione deve andare di pari passo con l’educazione alla salute e alla vita di tutti, fanciulli, giovani, anziani.

Questo è compito specifico della comunità cri­stiana come di tutte le agenzie educative, in particolare le istituzioni politiche, la scuola e i mass-media e deve passare attraverso un sostegno alla famiglia che gioca in questo il suo ruolo fondamentale.

Attraverso l’educazione dei figli la famiglia assolve la sua missione di annunciare il Vangelo della vita e della salute.

Afferma l’enciclica “Evangelium vitae”: «Con la parola e con l’esempio, nella quotidianità dei rapporti e delle scelte e mediante gesti e segni concreti, i genitori iniziano i loro figli alla libertà autentica, che si realizza nel dono sincero di sé, e colti­vano in loro il rispetto dell’altro, il senso della giustizia, l’accoglienza cordiale, il dia­logo, il servizio generoso, la solidarietà e ogni altro valore che aiuti a vivere la vita come un dono.

L’opera educativa dei genitori cristiani deve farsi servizio alla fede dei figli e aiuto loro offerto perché adempiano la vocazione ricevuta da Dio.

Rientra nella missione educativa dei genitori insegnare e testimoniare ai figli il vero senso del sof­frire e del morire. Lo potranno fare se sapranno essere attenti ad ogni sofferenza che tro­vano intorno a sé e, prima ancora, se sapranno sviluppare atteggiamenti di vicinanza, assistenza e condivisione verso malati e anziani nell’ambito familiare».