Notizie dal gruppo missionario n. 67

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Da AsiaNews, 22/10/2010

INDIA
India, dove il micro-credito spinge al suicidio

di Nirmala Carvalho

 
Mumbai – Il micro-credito “è un sistema di sfruttamento degli esseri umani, crudele come il nazismo e improntato soltanto su criteri di profitto. Non c’è alcun interesse al miglioramento della condizione sociale dei poveri: si pensa soltanto a fare soldi. I mercati sono essenziali, ma dovrebbero basarsi su dei valori etici. La micro-finanza, invece, non ne ha”. È il durissimo commento rilasciato ad AsiaNews da Lenin Raghunvashi, attivista per i diritti umani, dopo l’ondata di suicidi in India collegata agli Istituti di micro-finanza.

Uno studio compiuto dal governo indiano e pubblicato nei giorni scorsi ha infatti rivelato che sono gli stessi agenti degli Istituti a incitare i debitori a suicidarsi, se non riescono a saldare le rate del prestito concesso: in questo modo sarà l’assicurazione a pagare per loro. Nell’ultimo mese e mezzo, si sono verificati almeno 45 suicidi che possono essere collegati con sicurezza alla pratica del micro-credito.

Sujata Sharma, direttore dell’Autorità statale per lo sviluppo dei distretti rurali, conferma tutto: “Sono gli agenti dell’Imf a incitare i poveri al suicidio. Sanno che c’è un Fondo di protezione assicurativo a tutela di chi concede prestiti, che interviene in caso di morte improvvisa del debitore. Non vogliono aspettare tanto tempo o stare dietro a debitori poveri, quindi presentano la morte come un’alternativa molto pratica”.

Inoltre, lo stesso studio dimostra in maniera evidente che il micro-credito non soltanto non aiuta lo sviluppo delle classi inferiori delle società asiatiche, ma anzi è spesso la causa di un peggioramento della situazione dei poveri. Come si legge nel testo, “analizzando i cicli di spesa di quei settori, si nota un aumento impressionante delle spese inutili. Davanti alla possibilità di ottenere denaro senza alcuna garanzia, i poveri sono stimolati a contrarre debiti che per loro diventano enormi”.

I soldi ottenuti, inoltre, “non vengono usati per lo sviluppo di progetti economici. Anzi, i primi sei scopi di spesa dell’intero giro del micro-credito dimostrano la futilità del prestito”. Secondo lo studio, questi sei motivi sono matrimoni; funerali; riti particolari di carattere religioso; spese mediche non coperte dallo Stato; pagamento di vecchi debiti e educazione dei minori.

D’altra parte gli Imf non si impegnano nella richiesta di progetti di sviluppo.

Il microcredito, sviluppato dall’economista e premio Nobel Mohammad Yunus, si basa su un sistema apparentemente geniale: invece di fondare filiali bancarie e concedere denaro in cambio di garanzie, gli Imf affidano un certo quantitativo di contante ad agenti scelti sul territorio (spesso appartenenti alle classi alte dei vari villaggi) che si impegnano poi a recuperare il denaro.

Secondo Raghunvashi, che ha vinto nel 2007 il Premio Gwangju per i diritti umani, “si tratta di membri delle caste alte, arroganti e violenti, che agiscono in cambio di una commissione pari al 20% del prestito”.

In un villaggio dell’Uttar Pradesh, racconta ancora l’attivista, “c’erano 4 membri dell’Imf. La gente era arrivata a chiedere prestiti a uno per ripagare l’altro: un circolo vizioso che alla fine ha condotto al suicidio. Molti di questi agenti sono inoltre indù delle caste più alte, che dominano il sistema e tendono a degradare gli esseri umani”.

Nei nostri villaggi, sottolinea Raghunvashi, “stiamo combattendo per convincere la gente a non cadere nella trappola. Cerchiamo di assistere i poveri per ottenere prestiti bancari, ma solo se hanno un progetto di lavoro. Vogliamo che si crei un collegamento fra chi dà i soldi e chi li usa, in modo da trasformare un lavoratore in un proprietario. Dandogli così piena dignità”.


Da AsiaNews, 21/01/2011

INDIA
Cresce il suicidio fra gli agricoltori indiani, vittime di una società materialista

di Nirmala Carvalho
Mumbai – Circa 127.151 persone in India si sono tolte la vita nel corso del 2009, con un incremento dell’1,7% rispetto alle cifre dell’anno precedente (125.017). Di queste cifre, in almeno 17.368 casi si tratta di agricoltori: 47 morti al giorno, per un aumento oltre il 7% rispetto al 2008.

A rivelare queste tragiche statistiche è il rapporto annuale 2009 del National Crime Records Bureau (Ncrb) sulle “Morti accidentali e suicidi in India”, stilato nel dicembre 2010.

Le prime due settimane di quest’anno non sembrano pronosticare un’inversione di tendenza: 9 agricoltori nella regione di Vidarbha (Maharashtra) si sono tolti la vita perché la neve e la grandine hanno rovinato il raccolto quasi pronto; da novembre, 11 contadini nel distretto di Sambalpur (Orissa) si sono uccisi.

P. Paul Thelakat, portavoce della Chiesa siro-malabarica, commenta ad AsiaNews i dati del rapporto: “Il suicidio è un male serio che affligge la nostra società. Quando una persona non riesce ad affermarsi in una cultura basata su terribili valori consumistici, è portata alla disperazione e a togliersi la vita. Una società materialista non considera utile una persona ‘fallita’. Inoltre, il valore della vita sta nell’avere successo, potere e soldi. Le sofferenze e i fallimenti hanno perso ogni significato, perché la vita è svuotata di senso: è ridotta ad ‘avere’, non a ‘essere’”.

Tutto questo – continua il sacerdote – (…) è anche sintomo di una mancanza del senso di comunità e delle relazioni, del sentirsi soli in mezzo alla folla (…)”.

Il sacerdote conclude: “Il suicidio degli agricoltori deve scioccare la società e l’autorità. Racconta di una vita sociale che è contro la nostra natura. (…) Questo è semplicemente l’espressione del nostro malato vivere insieme, che sta affliggendo la società”.

Per p. Babu Joseph, portavoce della Conferenza episcopale indiana, “i dati del 2009 sui suicidi e sulle morti accidentali sono davvero disturbanti (…). Con tristezza, noto i nostri politici rivendicare l’incredibile crescita del Pil, mentre la realtà degli strati più bassi della popolazione rimane piuttosto cupa: con sempre più agricoltori che commettono suicidi a causa di indebitamenti; giovani che non trovano lavoro; donne vittime di costumi sociali arcaici”.

Una suora carmelitana di clausura, convertita dall’induismo, racconta di pregare per gli agricoltori suicidi ogni giorno. “È ancora più deplorevole – dice la suora – che proprio tra i contadini sia così diffusa tale pratica: loro, che seminano i campi e faticano giorno e notte per far crescere il grano che mangiamo tutti noi. Lo stesso grano che viene macinato per fare il pane dei padroni, e per dare l’Eucaristia a tutta Mumbai”.

 Anno II, n. 38

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