26 gennaio : Festa della Santa Famiglia

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“PERMESSO… GRAZIE… SCUSA”

«L’esempio della santa Famiglia e la semplicità della vita che essa conduce a Nazareth fa tanto bene anche alle nostre famiglie, le aiuta a diventare sempre più comunità di amore e di riconciliazione, in cui si sperimenta la tenerezza, l’aiuto vicendevole, il perdono reciproco.

Ricordiamo tre parole-chiave per vivere in pace e gioia in famiglia: permesso, grazie, scusa.

Quando in una famiglia non si è invadenti e si chiede “permesso”, quando in una famiglia non si è egoisti e si impara a dire “grazie”, e quando in una famiglia uno si accorge che ha fatto una cosa brutta e sa chiedere “scusa”, in quella famiglia c’è pace e c’è gioia.

Ricordiamo queste tre parole».

(Papa Francesco)

La festa della santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, mette a fuoco l’umanità di Cristo e la sua solidarietà con gli uomini.

Gesù, infatti ha voluto appartenere ad una famiglia umana, imparando il suo linguaggio, per rivelare all’umanità l’amore di Dio.

La Chiesa istituì questa festa offrendola come esempio per ogni famiglia cristiana, consapevole che il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell’umanità.

Alla sua luce la famiglia acquista il suo più alto e meraviglioso significato perché, in essa, Dio ha voluto prendere carne facendosi uomo.

Molte persone, forse, pensando alla Sacra Famiglia, vedono in lei persone “elette” che avevano dalla loro parte tutto il cielo con schiere di angeli pronti ad aiutarli e lo sguardo di Dio sempre chino su di loro.

Ma gli angeli sono intervenuti nella loro vita solo per informare (l’annunciazione, la fuga in Egitto…) e l’amorevole sguardo di Dio era pronto per accettare il loro sacrificio. Tutta la loro vita era intrisa di fatica, paura, sudore come avviene in ogni nostra famiglia.

La famiglia di Nazareth quindi è una famiglia normale, formata da tre persone, come oggi ce ne sono tante.

La famiglia contemporanea è investita da profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura, dove i legami stabili intimoriscono e la fatica delle relazioni mette in crisi la stessa realtà sociale.

San Paolo suggerisce alcuni atteggiamenti portanti che garantiscono l’armonia e la bellezza della vita familiare: ”Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, sopportandovi a vicenda, perdonandovi gli uni gli altri” (Col 3, 12-14).

Nel suo Vangelo, Matteo ci descrive il ruolo di Giuseppe avvertito in sogno: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. Nella notte, Giuseppe fugge in Egitto, attraversando il deserto.

Nei pochi versetti, l’Evangelista sottolinea un’espressione che viene ripetuta per ben tre volte: “Prendi con te il bambino e sua madre”.

A Giuseppe Dio affida i suoi tesori più preziosi: un bambino piccolo, indifeso, e una donna divenuta madre da poco tempo, che nella società ebraica non aveva voce, quindi anch’essa debole.

Gesù come un qualsiasi bimbo cerca la mamma ed il papà e li vede lì, attorno a Lui, che lo guardano, lo coccolano, e che li vede insieme mettersi a pregare: da loro ha imparato tutte le cose di cui aveva bisogno per crescere e diventare un uomo adulto. Anche Lui, il Figlio di Dio, è stato piccolo, indifeso e debole.

In ogni famiglia e in ogni comunità c’è qualcuno più fragile di cui bisogna farsi carico per gestire le diversità, le comunicazioni difficili, le incomprensioni.

Diviene, perciò importante imparare ad esprimere il rispetto reciproco, mai scontato, usando le parole di portata semplice e quotidiana: “Per piacere, scusa, grazie”, come ha invitato papa Francesco.

Nella fragilità delle relazioni familiari l’invito “a farsi carico” è rivolto a tutti e a ciascun membro: prendi con te l’altro così com’è, nei suoi valori e nella sua debolezza. E’ come dire: fa sentire all’altro l’affetto, l’amore; custodisci la tua famiglia come un dono prezioso, perché in essa troverai la tua gioia, la tua pace, la tua salvezza.

La famiglia di Nazareth lancia un invito: “ri-prendere con noi” gli affetti più cari, per averne cura, per custodirli, come il bene più grande della vita.

Ma tutto ciò può diventare possibile solo se Dio è di casa; se la preghiera, soprattutto la partecipazione all’Eucarestia nel giorno del Signore, diventa l’ossigeno che alimenta le relazioni.