Un certo Simone di Cirene

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Simone, vieni! Devi farti una cultura se vuoi stare al mondo; devi imparare un mestiere se vuoi guadagnarti da vivere. Ci sono libri da leggere se vuoi avere una parola da dire nella cultura del nostro tempo.

Ma io non sono un uomo di cultura. Mi stanco subito quando mi metto a leggere. Non sono a mio agio nelle biblioteche e nelle aule di scuola. Non sono mai stato uno studente modello, figuriamoci alla mia età. No, non sono capace.

Simone, vieni! La comunità ha bisogno di te. Ci sono dei ruoli da ricoprire. C’è il bene comune che cerca amministratori onesti e dedicati, soldi da gestire, leggi e procedure da conoscere e mettere in pratica.

Ma io non sono capace. La burocrazia mi spaventa e mi innervosisce. Io non so parlare in pubblico e mi annoio da morire nel partecipare alle riunioni.

Simone, vieni! C’è una guerra da combattere, una patria da difendere, una terra da conquistare. Bisogna essere addestrati e coraggiosi. Imparare a usare le armi e ad obbedire agli ordini.

Ma io non posso prendere le armi per fare del male al mio fratello. Io non sono capace. Io non ho coraggio. Io aborrisco la guerra.

Simone, vieni! C’è festa in paese, c’è da mangiare e bere per tutti. Ci sono manifestazioni e sfilate, divertimenti e devozioni. Arrivano personaggi famosi e artisti popolari.

Ma io non sono del paese, vengo da Cirene e non conosco la storia e non mi diverto con i vostri divertimenti. E poi il rumore e la musica e la folla che riempie le strade mi provocano più confusione che allegria.

Ehi tu, contadino miserabile, vieni qui, prendi sulle spalle la croce, che è troppo pesante per Gesù, nazareno, condannato a morte.

Sì, vengo. Questo sono capace di farlo. Sì, eccomi. Non sono esperto di nulla, ma posso condividere il soffrire, l’ingiusta condanna del giusto. Sì, eccomi! Non posso risolvere nessun problema, ma la croce la posso portare. Sì, eccomi! Non conosco quest’uomo che va a morire, ma chi può restare indifferente di fronte a tanta incomprensibile crudeltà e di fronte a tanta disarmata mitezza? Sì, eccomi, porto con te la croce, Gesù di Nazaret.

La via della croce attraversa la città; è una parola che il Signore rivolge alla città perché vuole che tutti sappiano a quale prezzo sono stati salvati, con quale amore sono stati amati.

Gli uomini e le donne di questo nostro tempo si lasceranno toccare il cuore dal cuore trafitto di Gesù? La breccia è aperta: Dio si è lacerato il cuore per lasciarci entrare.

La comunità dei discepoli di Gesù è il segno di questa breccia per entrare nel cuore di Dio.

La città è distratta, è oppressa da paure e smarrimenti, è stanca, è scettica. Chi accoglierà l’invito?

Forse non i sapienti, forse non i potenti, forse non gli efficienti, forse non i gaudenti.

Ma le persone da nulla, quelli come Simone, quelli che non contano, quelli che si sentono sempre inadeguati, quelli che possono dire: io non so fare niente, ma l’innocente che soffre mi fa compassione e mi faccio avanti. Non so fare niente, solo portare la croce. Sono capace solo di questo: portare la croce insieme con Gesù.

La via della croce non è però la condanna della sapienza, del potere, della fortezza e della festa, non è la condanna di tutto quello che di buono, grande, bello. Piuttosto è l’invito a conversione: tutto quello che l’uomo sa fare, tutto quello che può scoprire, tutta la potenza che può accumulare, tutto l’umano è giudicato dalla croce. Cioè tutto è buono se rende capace il cuore di compassione, se rende disponibili a portare la croce di tutti i poveri cristi della storia.

Sulla via della croce tutti sono invitati, tutti! Ciascuno di noi se riceve la croce sulle spalle e la porta insieme a Gesù, entra nella vita di Dio. È salvato.

Arcivescovo Mario Delpini
Via crucis
Zona Pastorale VII