“Tutto cambia” – La speranza di continuare a educare

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Carissimo popolo di Dio che vive a Cassina de’ Pecchi,

per la festa dell’Oratorio vorrei proporvi alcune considerazioni a partire dall’esperienza iniziale dell’oratorio di don Bosco.

“Negli anni 1844-1846 don Bosco getta le fondamenta del suo oratorio. Si stacca definitivamente dagli ambienti del Convitto e, affrontando difficoltà di ogni genere, comincia ad operare in modo autonomo nel campo educativo giovanile. Le due stanze ed il prato annesso all’Ospedaletto, messi a sua disposizione dalla marchesa Barolo, segnano il punto di partenza per la realizzazione del sogno dei nove anni. Per la prima volta il giovane sacerdote non deve dipendere da altri. Nelle due stanze ci si raduna, si prega, ci si confessa, ci si incontra, si fa catechesi e scuola. Lì, l’8 dicembre 1844, per la prima volta, l’oratorio acquista il nome di “Oratorio di san Francesco di Sales”. Il motivo? Lo racconta don Bosco stesso: Perché la marchesa Barolo aveva fatto eseguire il dipinto di questo Santo nell’entrata del locale. E perché questo nostro ministero esigeva grande calma e dolcezza: ci eravamo messi sotto la protezione di san Francesco di Sales, perché ci ottenesse la sua straordinaria mansuetudine“.

Di questi inizi dell’avventura educativa di don Bosco mi hanno particolarmente coinvolto la ricerca dell’autonomia come condizione non di isolamento o di esclusione, ma come ambito per la sperimentazione coraggiosa di un progetto educativo che trova il suo punto di forza nel protagonismo dei giovani e nella condivisione educativa. Penso che l’oratorio debba continuare un cammino di proposte maturate e consolidate negli anni che vanno aggiornate, ma anche sostenute con fedeltà e che accompagnano la formazione dell’interiorità della persona. Inoltre, è sempre promettente iniziare esperienze di uscita, di attenzione al territorio, che ci spingano fuori casa, che ci dispongano a cercare il bene ovunque. 

Inoltre, mi sembra molto attuale, nell’esperienza di don Bosco, la forza con cui una proposta di vita non ha pregiudizi sulla fede, ma sa generare un circolo virtuoso tra fede e vita, non c’è nulla nella vita che non possa ricevere luce dalla fede e al tempo stesso la fede ama la vita e la terra degli uomini. Nel nostro tempo in cui sempre di più i cristiani sono una minoranza, penso che occorra ritrovare la capacità di respirare a pieni polmoni la fede cristiana; che non è una fede dei rimpianti dei bei tempi passati, non è nemmeno la fede della lamentazione continua sulle cose che non vanno o dell’atteggiamento moralistico di chi sa solo giudicare tutti e tutto.

Don Bosco ci ha insegnato una fede concreta e una fede che ama la bellezza o, meglio, una fede che sa fare un discorso vero e anche morale attraverso la bellezza della vita (l’amicizia, l’allegria, il lavoro, la preghiera, la condivisione, …).

Infine, don Bosco cerca “grande calma e dolcezza” e implora di ottenere la “mansuetudine“. Sembrano doti educative d’altri tempi, quasi inutili ai nostri giorni, abituati a ritmi frenetici e al giudizio dell’esperto in campo educativo che ci dice che fare. Tuttavia, questi piccoli suggerimenti di un prete dell’800 hanno il sapore fresco e attuale di chi nell’ambito educativo ci mette la faccia, si sporca le mani e alla fine scopre di aver lasciato un pezzo di cuore.

don Luigi