Carissimo popolo di Dio che vive a Cassina de’ Pecchi,
questa domenica viviamo la giornata diocesana caritas e la giornata mondiale dei poveri. Vorrei condividere con voi un’immagine e un testo che mi hanno sempre un po’ ispirato quando cerco di attualizzare nella vita la parabola del buon samaritano.
Qualche anno fa, ho letto questa espressione che mi ha sempre affascinato: prendersi cura di qualcuno è come “portarselo al collo”. È come se egli fosse sempre lì con te, presente in ogni occasione, presente anche quando non ci pensi e quindi vive la carità chi non pensa solo a sé stesso, chi cerca di uscire dal proprio io narcisistico verso un tu da cercare, da custodire e da promuovere.
Scriveva Marco Zanoncelli: “Tutto sommato è abbastanza “facile” fare del bene agli altri, dare una mano e prestare un aiuto, ma la “cura” dell’altro possiede uno spessore ben differente, è qualcosa di qualitativamente diverso e superiore. Forse l’atto dell’aiutare e del fare del bene attiene alla dimensione etica dell’uomo, quella connessa alle sue scelte e ai suoi comportamenti; il “prendersi cura” invece credo abbia più a che fare con una dimensione esistenziale, profonda e radicale della persona, riguarda uno strato più intimo e vitale della costruzione della propria identità. Forse “fare del bene” afferisce alla dimensione del fare, mentre “prendersi cura” a quella dell’essere. La cura è quella disposizione esistenziale di chi dice: io sono qui per te, mi interessi, la tua vita mi riguarda, mi occupo della tua felicità.
Paolo usa un’espressione molto bella per dire questa disposizione esistenziale, rivolgendosi ai fedeli della città di Corinto: “Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete saldi” (2Cor 1,24).
Mi prendo cura di te nella misura in cui mi faccio servitore della tua gioia, ambasciatore della tua felicità e della tua realizzazione”.
Don Luigi