Carissimo popolo di Dio che vive a Cassina de’ Pecchi,
in questi giorni noi preti dalle 18 in avanti suoniamo i campanelli delle vostre case, (spero che il prossimo anno ci possano essere anche dei laici in questo servizio di vicinanza e di auguri natalizi!) in molti rispondono e ci accolgono in casa, ad altri non interessa e altri non sono in casa. Tuttavia, mi pare di vedere in questo gesto antico, quello della “visita”, un segno controcorrente che stimola tutti noi a non rinchiuderci nelle nostre case e a non cedere alla logica dell’individualismo.
Del resto, un’indagine recente del Censis, nell’ambito del cammino sinodale della Chiesa, rivela che la nostra Penisola continua oggi a riconoscersi nei valori del vangelo, ma in particolare la fede viene sempre più vissuta come un’esperienza individuale. Il giornale Avvenire di domenica 10 novembre riprendeva questa indagine scrivendo: “La fotografia che emerge dalla ricerca Censis “Italiani, fede e Chiesa” è quella di un Paese la cui cultura è fortemente intrisa di simboli religiosi ma che vive la fede in modo sempre più individualistico. “C’è diffidenza nei confronti dell’esperienza comunitaria – spiega Giulio De Rita, il ricercatore del Censis che ha seguito l’indagine – si registra una dimensione sempre più personalistica della fede, che riguarda soprattutto i cattolici non praticanti cui piace vivere la vita interiore, spirituale, da soli, al limite condividendola con la famiglia o gli amici più stretti”.
Diciamo che la vita ecclesiale vissuta nella dimensione della parrocchia, comunitaria non è più così attraente. Bisognerebbe “uscire”, come dice continuamente il Papa, non stare in sagrestia a coccolare le ultime pecorelle rimaste ma andare a cercare quelle che si sono smarrite. La cosa paradossale è che gli italiani ritengono la parrocchia un luogo accogliente, il sacerdote una persona con cui ti puoi confrontare, ma non li vedono amalgamati nella società.
La maggior parte degli italiani le riconosce una sua trascendenza e quindi la capacità di attraversare i secoli. Quando ero ragazzino c’era un’ideologia contraria al cattolicesimo, adesso non c’è più. Ma forse il venir meno del rifiuto a muso duro si è tradotto in indifferenza.
L’effetto è appunto il soggettivismo, l’individualismo, il pensare soltanto a sé stessi. Tempo fa abbiamo realizzato un’indagine proprio sull’indifferenza da cui è emerso come l’unico peccato ancora sentito dagli italiani sia quello di omissione, cioè l’aver trascurato i propri talenti. La Chiesa orizzontale, che chiede di essere buoni col prossimo, alla fine non risponde all’esigenza profonda dell’uomo moderno che si domanda: “ma io nella mia vita che cosa faccio? Devo far fruttare le mie potenzialità”. Non significa soltanto fare del bene ma anche realizzarsi come persone. Bisognerebbe puntare più sulla parabola dei talenti che su quella del buon samaritano”.
Don Luigi