GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001)

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È questa una domenica speciale: la domenica della parola di Dio. Per noi cristiani la Bibbia deve essere un tesoro prezioso, una bussola unica nel cammino della vita. Papa Francesco ha istituito questa giornata nel 2019. Pubblichiamo però alcune parole di San Giovanni Paolo II che già nel 2001 ci illuminava e guidava in questa certezza.

Non c’è dubbio che questo primato della santità e della preghiera non è concepibile che a partire da un rinnovato ascolto della parola di Dio. Da quando il Concilio Vaticano II ha sottolineato il ruolo preminente della parola di Dio nella vita della Chiesa, certamente sono stati fatti grandi passi in avanti nell’ascolto assiduo e nella lettura attenta della Sacra Scrittura. Ad essa si è assicurato l’onore che merita nella preghiera pubblica della Chiesa. Ad essa i singoli e le comunità ricorrono ormai in larga misura, e tra gli stessi laici sono tanti che vi si dedicano anche con l’aiuto prezioso di studi teologici e biblici. Soprattutto poi è l’opera dell’evangelizzazione e della catechesi che si sta rivitalizzando proprio nell’attenzione alla parola di Dio. Occorre, carissimi Fratelli e Sorelle, consolidare e approfondire questa linea, anche mediante la diffusione nelle famiglie del libro della Bibbia. In particolare, è necessario che l’ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell’antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l’esistenza.

Nutrirci della Parola, per essere «servi della Parola» nell’impegno dell’evangelizzazione: questa è sicuramente una priorità per la Chiesa all’inizio del nuovo millennio. È ormai tramontata, anche nei Paesi di antica evangelizzazione, la situazione di una «società cristiana», che, pur tra le tante debolezze che sempre segnano l’umano, si rifaceva esplicitamente ai valori evangelici. Oggi si deve affrontare con coraggio una situazione che si fa sempre più varia e impegnativa, nel contesto della globalizzazione e del nuovo e mutevole intreccio di popoli e culture che la caratterizza. Ho tante volte ripetuto in questi anni l’appello della nuova evangelizzazione.

Lo ribadisco ora, soprattutto per indicare che occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall’ardore della predicazione apostolica seguita alla Pentecoste. Dobbiamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava: «Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9,16).

Questa passione non mancherà di suscitare nella Chiesa una nuova missionarietà, che non potrà essere demandata ad una porzione di «specialisti», ma dovrà coinvolgere la responsabilità di tutti i membri del Popolo di Dio. Chi ha incontrato veramente Cristo, non può tenerselo per sé, deve annunciarlo. Occorre un nuovo slancio apostolico che sia vissuto quale impegno quotidiano delle comunità e dei gruppi cristiani. Ciò, tuttavia, avverrà nel rispetto dovuto al cammino sempre diversificato di ciascuna persona e nell’attenzione per le diverse culture in cui il messaggio cristiano deve essere calato, così che gli specifici valori di ogni popolo non siano rinnegati, ma purificati e portati alla loro pienezza.