La liturgia della vita

36

Carissimo popolo di Dio che vive a Cassina de’ Pecchi,

ci ricorda papa Francesco nell’enciclica “Laudato sì” al n° 147 che “Gli ambienti in cui viviamo influiscono sul nostro modo di vedere la vita, di sentire e di agire”.

Quando si ha poco, si scopre l’importanza e la bellezza “della qualità della vita delle persone, la loro armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco”. Quando si ha tutto si rischia l’asfissia, la chiusura egoistica e la paura dell’altro come usurpatore delle mie cose. L’esperienza me lo ha insegnato, ho toccato con mano l’umanità e la vicinanza delle persone soprattutto da amici che non avevano nulla, immigrati clandestini, abituati a dormire in case abbandonate, in mezzo ai topi, o nelle stazioni o in rifugi di fortuna piuttosto che da persone che avevano tutto ed erano praticanti devoti.

È encomiabile l’ecologia umana che riescono a sviluppare i poveri in mezzo a tante limitazioni”.  Questa semplice considerazione dell’esperienza umana che miliardi di persone stanno vivendo nella precarietà della loro vita ci fa dire con forza che “l’amore è più forte. Tante persone, in queste condizioni, sono capaci di tessere legami di appartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza  comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo”.

Scriveva nel 1953 Maurice Zundel: “Per questo nostro Signore, volendo inculcarci la dignità infinita della nostra vita, l’ha vissuta trent’anni nel lavoro manuale, in un lavoro, cioè, che apparentemente non ha niente di religioso, il lavoro più comune; per questo ha riunito nell’eucaristia il pane e il vino. Non è necessario altro per entrare in rapporto con Dio. Il lavoro, il riposo, i rapporti quotidiani degli uomini tra loro, questa è la religione, purché ogni atto sia rivestito di quella presenza divina e la comunichi”. E Alessandro Pronzato, commentando questo testo di Zundel, dirà: “Se è davvero così, allora bisogna prendere atto che troppi cosiddetti “praticanti”, in realtà lo sono ben poco, perché si limitano a frequentare le funzioni in chiesa, ma non sono capaci di celebrare la liturgia della vita“. Purtroppo, la Chiesa per troppo tempo è rimasta chiusa in un ghetto, isolata dal mondo circostante, e sappiamo tutti che non aprire porte e finestre porta la muffa e l’umidità. Perdendo il contatto con la vita reale si perde anche il linguaggio con cui relazionarsi con i propri contemporanei.                                           

Il domenicano Jean-René Bouchet metteva in guardia contro la mentalità dell’assedio propria del mondo cattolico e diceva: “Non fatevi una mentalità da assediati. Non si risponde a queste sfide dall’alto di una muraglia. La nostra avventura è la strada. E da Abramo e Emmaus sappiamo che la strada è uno dei luoghi dove ci sono più possibilità di incontrare il Dio vivente”.                                        

Proprio il contrario di quel porporato che confidava a don Alessandro Pronzato di essersi fatto installare la cyclette in una stanza del suo palazzo. Così molti vescovi e preti perdono il contatto con la gente, non scendono mai per le strade ad incontrare uomini concreti, alle prese con i problemi di tutti i giorni. Pronzato pensa che il frequentare la strada al posto della cyclette mantenga in ottima forma pastorale.                                                                                                                                                

Don Luigi