Carissimo popolo di Dio che vive a Cassina de’ Pecchi
Quante volte abbiamo sentito o ripetuto questo detto popolare? “La speranza è l’ultima a morire”. I latini usavano la frase: “Spes ultima dea” per significare che la speranza è l’ultima dea che siede al capezzale del morente, con riferimento al mito greco della dea Speranza che resta tra gli uomini a consolarli, anche quando tutti gli altri dèi abbandonano la terra per l’Olimpo. Viene ripresa da Foscolo nei Sepolcri: “[…] Anche la speme, / ultima dea, fugge i sepolcri”. Preferisco immaginare che la speranza non muore mai, la vedo come una casa da abitare, per sempre, con il Padre. In questo anno Santo sento particolarmente presente nel mio cuore questa virtù teologale della speranza, oltre a fede e carità. La sua presenza convinta mi ha donato parole di incoraggiamento per lavoratori impauriti. La sua presenza discreta mi ha aiutato a sostenere persone in lacrime, costrette a salutare i loro cari, dopo la morte, con una preghiera di sepoltura. La sua presenza caparbia mi ha sostenuto nell’infondere, con parole e azioni, la fiducia nella ripresa dopo le tenebre. La sua presenza universale mi ha fatto intravvedere percorsi inimmaginabili di fede e di carità. La sua presenza contagiosa mi ha concesso la gioia responsabile di conoscere in profondità persone e situazioni. La sua presenza reale mi ha sostenuto nel momento del dubbio e della paura. La sua presenza libera mi ha incoraggiato a credere in percorsi di liberazione da ogni forma di male presente nel mondo. Ringrazio il Signore perché infonde nei cuori il dono della speranza e intuisco anche, che questo dono va accolto e custodito attraverso esercizi di speranza. Mi vengono alla mente le parole di S. Pietro nella sua lettera: “… ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia, questo sia fatto con dolcezza e rispetto” 1Pietro 3,15.
Il primo esercizio è quello del discernimento. Non potremo aprirci ad una speranza condivisa e stabile se non saremo capaci di discernere ciò che di illusorio e persino malfunzionante c’è nella nostra vita o attorno noi. Se immaginiamo di poter semplicemente riprendere a vivere come prima e, soprattutto, a chiudere gli occhi e il cuore sulle ferite dell’umanità e del creato, non potremo che essere così delusi da rischiare la disperazione con tutta la violenza che questa può scatenare dentro di noi e tra di noi.
Il secondo esercizio è quello della solidarietà. L’indimenticabile gesto di papa Francesco, del 27 marzo 2020 in piazza S. Pietro a Roma durante la pandemia del Covid, possa diventare una profezia per sognare insieme una umanità responsabile e solidale. Quando papa Francesco ha ricordato che “siamo tutti sulla stessa barca”, in realtà ha esortato l’umanità a fare corpo e a “remare” insieme verso un futuro che non sia la continuazione del passato, ma un viaggio che continua, lasciandoci guidare dal vento dello Spirito di Gesù.
Il terzo esercizio è quello dell’umiltà. Con coraggio San Giovanni Paolo II comprese che “non si può mai rinnovare la speranza senza riconoscere i propri errori”. Speriamo che questo tempo di quaresima sia occasione di scoperte interiori, di ricerche di valori e di un’umanità rinnovata. Infine, come scrive San Paolo: “Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1Cor 15,19).
don Luigi