Carissimo popolo di Dio che vive a Cassina de’ Pecchi,
Mons. Erio Castellucci scrive la sua lettera pastorale “Cristo è la nostra pace”, disarmata e disarmante”, per tracciare alcuni sentieri di pace per i cristiani delle Chiese di Modena-Nonantola e Carpi, ponendosi questa domanda: “Che cosa fare davanti alla guerra? È la domanda di tutti in questo momento storico. Il senso di impotenza nasce dalla sproporzione tra l’imponenza delle atrocità oggi sotto gli occhi di tutti e l’esiguità di ciò che possiamo “fare” per cambiare il corso degli eventi. Ma la percezione di debolezza deve evitarci di scivolare nell’immobilismo, nella rassegnazione, nella disperazione. Nella sua lettera pastorale propone queste cinque azioni:
Primo, sdegnarci e alzare la voce: il disarmo delle coscienze. Contro un’anestesia emotiva che sta conquistando il mondo, il testo ricorda la curiosa espressione della tradizione cristiana, la “santa indignazione”, da non confondersi con un semplice fuoco di paglia. Piuttosto è una “brace”, che arde costantemente, ed è risposta alla pace che Gesù porta: non l’apatia e l’insensibilità (l’essere lasciato in pace), ma la spada, che trafigge l’indifferenza e la comfort zone.
Secondo, favorire il dialogo: il disarmo delle parole. Né il mettere tra parentesi le diversità, né il fondamentalismo che ostenta identità sono generatori di pace. Entrambi soffrono la stessa carenza di maturità e mancano di interesse per il dialogo. L’identità cristiana è per sua natura aperta: l’incarnazione del Figlio con ogni essere umano, permette di vedere in ciascuno l’impronta del Padre creatore e dà occhi per riconoscere l’azione dello Spirito, che regala ovunque i suoi frutti.
Terzo, pregare e intercedere: il disarmo delle anime. Le Scritture bibliche ricordano che la pace va invocata. Ma a che serve pregare? La preghiera disarma le anime. “Il primo effetto della preghiera per la pace è proprio quello di curare le ferite di chi si rivolge al Signore: perché avverte che non ha senso invocare la pace se non la accoglie prima di tutto dentro di sé. I discepoli di Gesù sanno che la preghiera non è un esercizio facile: non tanto per l’attenzione mentale che richiede, quanto per la verifica esistenziale che attiva. L’orazione cristiana è diversa dalla meditazione, pure utile e necessaria; è risposta a Dio, che – in quanto tale – prende le mosse dalla sua Parola”.
Quarto, rimboccarci le maniche e aiutare: il disarmo delle mani. L’educazione alla nonviolenza si concretizza nell’agire individuale, ma anche in quello in rete, “entrando in associazioni, fondazioni o altri enti, il cui scopo è quello di soccorrere le vittime delle guerre. La rete è anche quella delle comunità cristiane, sia cattoliche sia ortodosse e protestanti, che spesso attivano strutture di accoglienza e di assistenza. E poi tutti, nella società democratica, possiedono “l’arma pacifica” del voto, con il quale è possibile orientare le politiche locali e nazionali al dialogo, all’accoglienza e alla pace”.
Quinto, testimoniare e rimanere fedeli a Gesù: il disarmo dei cuori. Più che della guerra preventiva, che non ha nessun fondamento nel diritto internazionale, c’è bisogno della “pace preventiva”, che nasce dal mandato di Gesù e che i discepoli donano senza aspettare la reazione. Ogni ambiente di vita può educare alla pace, come già accade in tanti “santi della porta accanto”.
Don Luigi

