Per rendere più umano il volto del mondo

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Carissimo popolo di Dio che vive a Cassina de’ Pecchi,  

in un paese lontano era scoppiata una guerra, non con le armi, ma con le parole, con le allusioni, con i capricci e con le divisioni. Gli uni contro gli altri. I capi banda avevano iniziato a convincere gli amici che loro erano più intelligenti degli altri. Gli insulti reciproci non erano mai frontali, ma tutti alla schiena, nei crocicchi delle strade o nei raduni degli eletti. I due fronti utilizzavano tutti i mezzi possibili per testimoniare l’incapacità degli altri. La derisione pubblica, la stampa clandestina, operazioni di infiltrazione nelle linee nemiche. Far circolare notizie false era una delle arti più sottili di una delle parti. Mentre gli altri si divertivano a fare caricature sugli avversari. Qualcuno aveva tentato la mediazione di un terzo per ritrovare la pace tra i due fronti, ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Più passavano gli anni aumentava l’arroganza, la supponenza e la cattiveria contro gli altri. Era una guerra subdola, sotterranea, che non doveva dare dell’occhio ai più, ma solo a chi doveva capire che la soluzione a tutti i conflitti era la fuga o la resa senza condizione dell’uno o dell’altro fronte. Quanti inutili silenzi o quante parole vuote, pur di non affrontare la verità delle cose. In ogni guerra ci sono i fedelissimi, quelli che si legano al capo, rinunciando alla propria libertà. Sono pronti a tutto, accecati dal capo, pur di difendere le teorie del capo e non fare la fatica dell’incontro con le persone. I fedelissimi sono quelli che pensano di sapere sempre più degli altri e quindi di solito sono quelli che anche quando le guerre finiscono rimangono chiusi in casa. Gli anni passavano per gli uni e per gli altri, per entrambi la situazione si era incancrenita. Tante persone erano tristi, imbruttite, schiave delle loro ombre e soprattutto incapaci di riconoscere un fratello.

Papa Leone, nel solco tracciato da papa Francesco, nel discorso pronunciato il 2 ottobre ai partecipanti all’incontro “Rifugiati e migranti nella nostra casa comune” ha parlato “della cultura dell’incontro come antidoto alla globalizzazione dell’indifferenza”.

La storia della fraternità. È la storia dei volti. L’altro prima di tutto è un fratello, questo dovrebbe essere il nostro preconcetto fondamentale, prima di tutte le altre etichette che siamo soliti attaccare agli altri. Prima di parlare dovremmo imparare a vedere il volto dell’altro e ad ascoltare la sua storia, mangiare con lui qualcosa e sentire il sudore del suo cammino. Fratello “in tutti i sensi”!

La vita spesso ci presenta un volto disumano dell’incontro con il fratello. Il fratello non mi interessa “la cultura dell’indifferenza” oppure il fratello è un ostacolo e un peso “la cultura dello scarto”. Noi cristiani proponiamo una fraternità globale, non c’è nulla di umano che non ci interessa e non ci sta a cuore. La globalizzazione della fraternità la iniziamo oggi, salutando il vicino di casa, ascoltando la storia di chi è stato scartato da tutti, riequilibrando la nostra vita e imparando la condivisione. Una fraternità che assomiglia ad un vento leggero che sfiora il volto e preannuncia la primavera, un tempo migliore per ascoltare storie nuove di fraternità.  L’antica storia della Genesi raccontava così, Dio ad un certo punto chiese al “Caino” di turno “Dov’è tuo fratello?” Quella storia riguarda anche noi. Ognuno di noi può diventare una nuova storia di fraternità o di indifferenza.

Don Luigi