El Pret de Ratanà (2)

439

Ritornato a Milano don Gervasini esercitò il ministero sacerdotale in diverse parrocchie, ricevendo malati e bisognosi di aiuto, capace di lenire il dolore del corpo e dell’anima di molti che bussavano alla sua porta.

Ma questa attività non è di gradimento alla Curia di Milano e dopo un primo avviso, nel 1902 a don Giuseppe viene comunicata la sospensione “a divinis”, ossia una punizione dell’autorità ecclesiastica, che lo avrebbe sospeso dalla celebrazione delle S. Messe e dall’esercizio del suo ministero. L’anno successivo, tuttavia, il Cardinal Ferrari gli confermava l’uso delle facoltà sacerdotali

Intorno al 1926 don Giuseppe si stabilì a Baggio in via Fratelli Zoia n. 182, a pochi passi dalla Cascina Linterno, proprio dove aveva soggiornato e operato per più di otto anni Francesco Petrarca, poeta del XIV sec. e nonni di Corte, al servizio dei Visconti.

Una casa a due piani circondata dall’orto nel quale don Gervasini coltivava le sue erbe, indispensabili per tante significative guarigioni. Non si mosse quasi mai da qui , continuando fino alla morte la sua attività di “medico” della povera gente. Chi, recandosi nella metropoli lombarda, voleva andare da lui prendendo il tram 34, bastava che chiedesse di farlo scendere “dove stava quel prete che faceva guarire”. “Si, el Pret de Ratanà” rispondeva tosto il tranviere: e difatti, proprio dinanzi alla casa di don Gervasini, il tram faceva fermata e scendevano comitive varie e di tutte le categorie sociali.

D’inverno la folla aspetta in cucina, nelle atre stagioni in cortile e in giardino. Nell’ambiente aleggia un odore di vecchio, di chiuso, in cui si mischiano gli aromi delle erbe: è un ambiente in cui trovano conforto le miserie umane che accomunano ricchi e poveri, padroni e servi, fiduciosi e disperati, umili e superbi. Tutti bisognosi di quel conforto, disatteso dalla medicina ufficiale: l’estrema speranza! Non pretendeva nulla per le indicazioni che dava e lasciava che ognuno spontaneamente mettesse su un piatto, posato sul tavolo, l’offerta che credeva. Negli ultimi anni la vita di don Giuseppe s’era fatta assai riservata. Stanco per gli anni e per una sfibrante malattia (sembra un tumore), esce spesso per la campagna nel tardo pomeriggio, accompagnato dal fedele giardiniere Pietro.

Sa che la vecchiaia distruggerà presto il suo corpo, ma sa pure che il suo ricordo sopravvivrà nell’animo di tanti umili. Si ferma spesso dinanzi ad un’umile cappelletta, a pregare. Una dolce Madonna sorride dal suo piccolo altare. Gli anni, i secoli sono trascorsi, ma il divino sorriso non s’è spento ancora. L’anima di chi lo seppe suscitare col pennello vibra ancora là dentro e don Giuseppe l’intende e la ama. Cara, cara Immagine!

L’anima del “Pret de Ratanà” si protende verso di essa, aspirando all’eterno riposo della sua promessa.

La morte lo colse in perfetta serenità di spirito.

Don Giuseppe Bollini, parroco di Quinto Romano, così si espresse alla morte di don Gervasini: “In questi ultimi anni ho vissuto accanto a don Gervasini come suo consigliere spirituale e ciò per espresso desiderio del cardinale Schuster il quale aveva tanto interesse paterno per lui. Io l’ho portato con me a Caravate in provincia di varese per gli esercizi spirituali in un convento di Padri Passionisti. Ne uscì trasformato. Nel 1938, tre anni prima della sua morte, il Cardinale gli aveva fatto ottenere dalla Santa Sede l’indulto, cioè la facoltà di celebrare in casa la S. Messa. La sua cappellina privata aveva avuto gli elogi dello stesso Cardinale che l’aveva visitata”.

Il 22 novembre 1941, assistito dalla sua fedele perpetua Carolina Malinverni e Felice Trianti, il fedele “chierichetto”, moriva don Giuseppe Gervasini, “el Pret de Ratanà”.

La sua tomba si trova nel Cimitero Monumentale della città, campo 20, lato ovest, vicino al muro di cinta. Sul sepolcro sono state incise queste parole: “Così la fiumana dei tuoi beneficati ti ricorda e ti ricorderà sempre”. (continua…)

                          (A cura di  Monsignor Bruno Magnani)