El Pret de Ratanà (3)

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IL PERSONAGGIO

Scriveva un quotidiano milanese:

Non molto alto, grassoccio, dal volto poco espressivo; ma illuminato da due occhi che tradivano la furbizia, dall’incedere ancora energico nonostante l’accumularsi degli anni sulle forti spalle…

Dicono che non fosse molto dotto. Pazienza. Sapeva però leggere perfettamente nel viso dei suoi simili e sapeva scrivere talvolta nei cuori parole che non si cancellavano più.

Un giorno venne da lui un medico ben noto, il quale per nascondere la sua personalità, credette darsi a credere ragioniere di un istituto bancario. Dopo le prime battute don Gervasini, fatto accorto da certe espressioni di natura scientifica, bruscamente lo interruppe: «Non contate delle storie, gli disse, voi siete un medico!». L’altro, preso di soprassalto non seppe negare e finì per lasciargli il suo biglietto da visita…

Era d’abitudini semplici. Al mattino si alzava assai per tempo, celebrava la Messa e verso le otto cominciava a ricevere i numerosissimi visitatori.

La porta della sua casa era sempre aperta a tutti.

Stando seduto, accoglieva il visitatore con le rituali frasi: «Ven avanti… Chi l’è che t’ha mandaa chi?»

A mezzogiorno consumava un pasto frugale e alle quindici tornava ai suoi “fedeli”.

La sera si coricava prestissimo, dopo una parca cena.

Amava anche vedere un po’ di cielo e di verde, riposarsi sotto un albero, ascoltare il canto di una contadina, cogliere una rosa sul primo sbocciare, sedersi sulla ripa di un ruscelletto, seguire coll’occhio il vagare e il disparsi delle nuvole, accarezzare un bambino.

Un giorno la signora Amalia Bruni Carminati portò a don Giuseppe il proprio figlio ammalato, il piccolo Valentino.

Il sacerdote diede una caramella al ragazzo, lo benedisse, lo accarezzò e predisse “grandi sacrifici” alla madre e un £grande avvenire” per il figlio, impegnandosi a sovvenzionare gli studi.

Orbene, passarono gli anni… e il piccolo Valentino crebbe e divenne il valentissimo Prof. Valentino Carminati, Libero Docente di Patologia Generale nella Università di Milano, Primario della Divisione Biologica Sperimentale all’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori.

Benchè difetti non gli mancassero, don Giuseppe non era un ciarlatano; la sua dignità ce l’ebbe sempre.

Singolare è la storia di quell’offellèe di Baggio che gli portava il pacchetto di paste tutte le domeniche ma lui non le mangiava, le offriva ai bambini e ai vecchi.

Parole rudi e forti formavano il suo frasario consueto con ogni sorta di persone.

Niente segni, niente formule o prescrizioni che avessero del superstizioso o del ridicolo.

Singolare intuizione aveva poi per certe malattie consuete da vita disordinata o viziosa.

Per quelle erano invettive e rampogna così violente che le rimandava a casa… decisamente guarite.  

(continua…)

(A cura di  Monsignor Bruno Magnani)