Il saluto di don Francesco

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Sebbene mi sembri incredibile, eccomi ormai alla vigilia (più o meno) della mia ordinazione sacerdotale. Ormai le “incombenze” pratiche da sbrigare sono finite, e mentre scrivo mi trovo in un monastero in Umbria, immerso nella pace della preghiera liturgica. Ma, sotto questa pace, sento anche ribollire in me molti sentimenti, relativi al tempo che finisce e a quello che sta per cominciare.

Mentre scrivo di questo ribollire interiore, mi torna alla mente una bella frase del beato Giovanni Mazzucconi, sacerdote missionario ambrosiano, morto martire nel 1855. Alla vigilia della sua partenza per la missione in Australia – e dunque poco prima di trovare la morte – scriveva così: “Non so che cosa egli mi prepari di nuovo nel viaggio che incomincia domani, so una cosa sola, so che egli è buono e mi ama immensamente; tutto il resto: la calma e la tempesta, il pericolo e la sicurezza, la vita e la morte, non sono che espressioni mutevoli e momentanee del caro Amore immutabile, eterno. Sì, miei cari, abbiamo un altro paese, un’altra patria, un regno dove ci dobbiamo ritrovare tutti, dove non vi saranno più separazioni né partenze, dove i dolori e i pericoli passati non serviranno che ad aumentare la consolazione e la gloria”.

Con commozione mi unisco a questa consapevolezza di questo santo sacerdote: non so cosa sarà di me domani, dove sarò mandato, se il mio parroco sarà simpatico o antipatico, se la gente mi accoglierà bene o male, se sarò all’altezza di ciò che mi sarà richiesto oppure no. Ma sono certo di quel “caro Amore immutabile, eterno” che è Cristo. Per questo non sono angosciato per ciò che lascio e neppure per ciò che troverò nella mia futura parrocchia e nella mia vita di sacerdote.

Ecco allora che, attorno a questo saldo Amore, tutto quel ribollire di sentimenti di cui parlavo poco sopra trova il suo posto. Anzitutto, avverto una forte gratitudine per questi sei anni di Seminario. Certo, a tratti mi sento un po’ come un adolescente che vede e critica tenacemente tutti i difetti dei propri genitori, eppure – se sono onesto – riconosco che il Seminario, pur con tutte le sue mancanze, mi ha cresciuto: ha preso l’adolescente Francesco e ne ha fatto un uomo; gli ha permesso di conoscersi, di sperimentarsi in tanti contesti diversi, di incontrare e conoscere molti fratelli, soprattutto di approfondire e amare la propria fede, e di verificare la propria vocazione. Nulla di ciò che è accaduto a Francesco in questi sei anni è andato perduto: “del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8,28). Tutto ha concorso a fare – di quel Francesco – don Francesco.

Oltre alla gratitudine, c’è poi senz’altro anche un senso di attesa: so che tra pochi giorni sarò prete, ma il futuro prossimo non ha ancora tratti precisi. Non so a quali parrocchie sarò destinato, se sarò lontano o vicino ai miei genitori, chi sarà il mio parroco, che volti avranno i ragazzi che mi saranno affidati… Tutte queste cose le saprò solo il 23 giugno. Allora, il rischio, di fronte a tutte queste incognite, è che l’attesa diventi ansia. Per questo ho scelto, come motto della mia ordinazione, una frase della Regola di San Benedetto: “Nihil amori Christi praeponere” (RB IV,21), cioè “nulla anteporre all’amore di Cristo”. Sebbene sembri assurdo per la nostra logica umana, l’unica cosa che sempre urge fare è lasciarsi amare da Cristo, prima di pensare alle cose da fare, alle competenze da sviluppare, ai progetti da immaginare. Così, quando le domande sul futuro si fanno un po’ opprimenti nella mia mente, cerco di tornare – ancora e ancora – a quel “caro Amore immutabile, eterno”, a desiderare solo il Paradiso, quel “regno dove ci dobbiamo ritrovare tutti, dove non vi saranno più separazioni né partenze, dove i dolori e i pericoli passati non serviranno che ad aumentare la consolazione e la gloria”.

Con questi sentimenti nel cuore, vi chiedo ancora una volta di pregare per me e per i miei ventuno compagni di classe, perché – come mi ha detto di recente un amico frate – non ci accontentiamo di diventare preti l’11 giugno, ma possiamo essere per tutta la vita santi sacerdoti.

Nell’attesa di vederci in particolare il 18 giugno, quando celebrerò la mia prima Messa a Cassina, vi abbraccio tutti.

A presto,

don Francesco