Un pomeriggio, entrando in Oratorio, mentre i bambini uscivano dalla nostra Scuola dell’Infanzia e si precipitavano nel parchetto giochi, ho assistito ad una bellissima scena.
Un bambino piccolo ha cominciato a correre per prendere la mano di suo padre gridando ad alta voce: “Papà! Papà!”, e aggrappato alla sua mano si è fermato e ha sorriso. Mi piace condividere questo semplice e tenero episodio mentre ci prepariamo alla Festa di San Giuseppe e alla Festa del Papà.
Che bello pensare che Gesù ha voluto insegnarci a rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre” proprio con quel termine affettuoso “Abbà” che ogni bambino usa per chiamare il proprio papà (come quel pomeriggio nel nostro Oratorio).
“Papà” è una parola affettuosa usata dai figli per rivolgersi al loro genitore, e proprio per questo Gesù la sceglie per comunicare un rapporto positivo di amore con Dio. E questa parola “padre” per Gesù è positiva per un motivo molto semplice: egli ha avuto nella sua infanzia (e non solo) un padre “speciale” di nome Giuseppe.
Quando Gesù usa la parola “Abbà” ha senz’altro un’esperienza unica di paternità grazie alla presenza di San Giuseppe nella sua vita.
Forse qualcuno, giustamente, si starà chiedendo: “E chi tra noi – per diversi motivi e circostanze – non ha interiorizzato un’esperienza così positiva di paternità riesce ugualmente ha far tesoro della preghiera di Gesù?”.
Senz’altro, credo, faccia più fatica ma può essere di aiuto trovare dentro di sé un’esperienza positiva di amore a cui far riferimento pensando e rivolgendosi a Dio.
Mi ricordo una bella testimonianza di don Oreste Benzi (fondatore della Comunità Giovanni XXIII) quando in un incontro con dei giovani raccontò di un ragazzo della sua Comunità che aveva perso entrambi i genitori da piccolo e che assieme a sua sorella era stato cresciuto dalla nonna. Questa donna era stata la sua famiglia, la sua casa, il suo amore. E confidò la difficoltà di questo ragazzo: “Quando prego non riesco a pensare a Dio come un padre. Io non l’ho avuto un padre. Quando penso a Dio lo penso come mia nonna, con lo stesso sguardo, con quella pace, con quella tenerezza”. E don Benzi rassicurò questo ragazzo nel fatto che faceva bene pensare a Dio tenendo vivo il ricordo della nonna (attraverso cui Dio si era preso cura di lui).
Lo scorso giugno siamo stati in Pellegrinaggio sulle orme di Albino Luciani a Canale d’Agordo. Forse ricordiamo le parole del beato Giovanni Paolo I che, ad un Angelus parlando dell’amore di Dio, si rivolse così ai fedeli radunati in Piazza San Pietro: “Dio è papà; più ancora è madre”. Si può ben immaginare lo scalpore che queste parole sollevarono allora, ma oggi ne cogliamo il senso.
Anche grazie a Giuseppe di Nazaret, Gesù ha potuto sperimentare la cura, l’attenzione e l’affetto di Dio. Ho scoperto che il nome Giuseppe significa “Dio aggiunge”. La sua stessa persona è da considerarsi una benedizione. Giuseppe è un più che, messo accanto a ogni cosa, ne accresce il valore.
Vedete, questa è la caratteristica di coloro che vivono la propria vita non preoccupati di dover affermare se stessi, perché invece provano gioia nel far emergere chi hanno accanto.
Ringraziamo San Giuseppe per aver donato a Gesù un’esemplare paternità e affidiamo a Lui tutte le persone ancora oggi capaci di amare e di voler bene mostrando così un tratto dell’Amore di Dio.
Sì, Giuseppe è un più,
ed è il più che Dio ha voluto accanto a Maria e a Gesù.
Ciò che continua a fare anche ora,
nella vita di coloro che a Lui si affidano!
Don Massimo