Carissimo popolo di Dio che vive a Cassina de’ Pecchi,
all’inizio dell’Avvento vorrei condividere con voi questo testo di un parroco di Milano che ha letto ad un corso di formazione. Penso che possano essere parole che ci aprono il cuore e la mente ad un cammino di fede attiva che riconosce di attendere Dio nell’oggi della storia.
“Quello che manca alla chiesa oggi è proprio una visione. Non servono programmi, strategia di riconquista di posizioni e di privilegi. Non serve il desiderio di ricomporre un mondo che non c’è più, serve una visione. Mi sembra che questa “scena originaria” che vede Gesù tra i discepoli e le folle, possa offrire gli elementi essenziali di una visione che ispiri nel nostro tempo, che offre una speranza per il destino della fede oggi.
Come all’inizio del ministero di Gesù dobbiamo imparare a camminare nella storia in compagnia degli uomini, senza poter contare su privilegi e istituzioni forti, ma “spogliati»”, pellegrini (pellegrini di speranza è l’icona del giubileo suggerita da papa Francesco) che incontrano uomini e donne, persone spesso ferite dalla vita, gravate da pesi, segnati da fallimenti e colpe che sembrano imperdonabili… Gesù raccoglie attorno a sé un manipolo di discepoli, non troppi non tanti, dodici o settantadue, quelli che bastano, e con essi si fa vicino alle folle. Non per incrementare la propria compagine, ma per annunciare i segni del regno di Dio che si fa vicino.
Non solo: ai discepoli Gesù sembra indicare figure della fede inedite. I discepoli non devono solo annunciare il Regno, guarire i malati, liberare i prigionieri, ma apprendere essi stessi la fede dagli incontri che Gesù mostra loro. I peccatori – come Levi o la donna invitata dal fariseo Simone – gli stranieri e i pagani – come la cananea o il centurione che intercede per suo figlio, come l’indemoniato di Genezaret – i pubblicani come Zaccheo o gli eretici come la Samaritana… diventano figure della fede, di quella fede elementare che ridona il coraggio di vivere, di riprendere in mano la propria vita come unica, come il luogo dove Dio si fa vicino. Non si tratta di riportare tutti questi incontri, ad una fede “confessante»”, “discepolare”.
Ci sarà anche chi verrà chiamato a seguire il Maestro come discepolo – dodici o settantadue, quelli che servono e che bastano, perché gli operai sono e saranno sempre pochi – ma la maggior parte di loro saranno invitati semplicemente a tornare alla vita, a casa, capaci di vivere nella speranza che la fede ha acceso loro in cuore.
Che cosa può significare quest’abbozzo di “visione” per la nostra azione pastorale? Non lo so di preciso, ma penso che debba liberarci dall’ansia di far “tornare le persone in chiesa”, dei numeri, dell’appartenenza ecclesiale… e piuttosto renderci più attenti agli incontri personali della vita, dove “da persona a persona”, possiamo imparare da Gesù quella “santità ospitale” che riaccende la fede. Una pastorale più libera dalla preoccupazione dell’istituzione, e più attenta agli incontri personali, là dove la vita apre quelle “faglie” che possono diventare dei nuovi inizi. Impareremo a lasciarci sorprendere dalla fede che lo Spirito suscita ancora nel cuore degli uomini e delle donne, e potremmo trovare occhi nuovi per vedere i segni di una speranza che non muore, i gemiti di un parto che tiene viva la storia”. (don A. Torresin, parroco nella parrocchia di San Nicolao della Flue a Milano)
Don Luigi