Carissimo popolo di Dio che vive a Cassina de’ Pecchi,
quando arriva Natale mi capita di chiedermi perché Dio ha scelto di far nascere Gesù in una “mangiatoia” (Lc 2, 7)? Quando arriva Natale immagino lo stupore imbarazzante di Maria, “essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo“, perché “così fu generato Gesù Cristo“(Mt 1, 18)? Quando arriva Natale mi fermo spesso a contemplare l’inizio del vangelo di Marco, che non narra la nascita di Gesù, ma inizia le parole buone del suo vangelo dicendo: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1). A questo punto non posso tralasciare il vangelo di Giovanni che mi ricorda la nudità della nascita di Dio “E il Verbo si fece carne” (Gv 1, 14).
Queste domande mi portano ad accogliere la rivelazione di Dio nella storia attorno a due messaggi. Il primo è la condivisione di Dio a partire dall’umanità più povera e il secondo è la rivelazione di Gesù di Nazareth come Figlio di Dio, rivelatore di Dio.
Nascere in una mangiatoia è miserevole. Tuttavia, ai nostri giorni assistiamo a miserie peggiori: “È nato mentre la madre moriva. Lei annegava, prigioniera dentro la prua del barcone che s’inabissava sul fondo del mare di Lampedusa. Lui anche, appena nato e ancora legato alla sua mamma dal cordone ombelicale. La ragazza africana aveva poco meno di vent’anni e portava in grembo quell’esserino di appena sette mesi”. Forse la mangiatoia era ed è ancora testimonianza di condivisione da parte di Dio ad ogni miseria umana.
La mangiatoia include la parola “mangiare”. Il richiamo all’ultima cena non è fuori luogo. “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. Un Dio che si è lasciato “mangiare”. Gesù di Nazareth che ha vissuto la sua vita lasciandosi “mangiare” dagli incontri, dalle relazioni, dai volti e dai più bisognosi. Sembra di vedere nella mangiatoia la parabola di tutta la missione di Gesù nel mondo. Sono convinto che la mangiatoia, scontata dalla letteratura dei racconti sulla nascita di Gesù o dalla fatalità del destino, è una scelta di Dio. Un Natale povero, per stare con i poveri.
Ritorniamo ancora al verbo del Natale: “mangiare”, non per il riferimento ai banchetti natalizi che ci hanno forse sviato dall’invito divino a “mangiare la carne di Cristo”.
La strada per nascere o rinascere dall’alto è quella tracciata dalla vita di Gesù, dal suo essere “carne” che rivela il volto di Dio. L’incontro con Lui è Natale. Il mistero del Natale inizia nel segno della mangiatoia e del bambino avvolto in fasce. In quella nascita, attraverso lo stupore di una giovane donna che nella paura delle vicende della vita si affida a Dio e anticipa lo stile del Figlio “sono la serva del Signore”, continua nel mondo a brillare una luce che porta calore a ogni miseria umana e porta luce per scorgere anche solo l’ombra di Dio nella storia.
Oggi dopo quasi duemila anni di cristianesimo che cosa resta di Dio?
Quanti natali ci hanno educato alla condivisione con le miserie degli uomini? O quanti natali sono stati vissuti come incontro con Cristo, rivelatore del volto di Dio?
La proposta cristiana è quella di vivere un Natale povero, nel segno della condivisione con i poveri e dell’incontro sempre nuovo con la vita di Cristo “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1, 4). Ridurre il Natale ad un “povero Natale” basta poco. Basta pensare solo a noi stessi. Senza Dio e senza gli altri. Basta trasformare il “mangiare” in abbuffarsi. Basta ridurre la religione in potere e non in servizio. Basta non interessarsi di altro che di noi stessi, indifferenti.
A tutti voi buon Natale
da don Luigi, don Silvio, don Bangaly, don Fabio e don Stefano.